A Milano a Palazzo Reale, in piazza del Duomo 12, fino al primo marzo 2020, si visita la mostra Guggenheim - La Collezione Thannhauser da Van Gogh a Picasso. La collezione della famiglia Thannhauser di Monaco di Baviera, in particolare di Heinrich (1859-1935) e del figlio Justin (1892-1976), confluita nel museo Solomon R. Guggenheim di New York, comprende opere, perlopiù pittoriche ma anche scultoree, di artisti che avevano sfidato coraggiosamente la tradizione ottocentesca, stravolgendone progressivamente i canoni e dando luogo così a un’arte nuova.
Tra gli impressionisti, post-impressionisti e avanguardisti in mostra, ci sono: i francesi Edouard Manet, Claude Monet, Paul Cézanne, Edgar Degas (con alcuni bronzi), Henri Rousseau, la cui opera I giocatori di football (1908), che rappresenta in realtà giocatori di rugby, è stata scelta come immagine-icona della mostra, Paul Gauguin, Vincent van Gogh, il russo Vasilij Kandinskij, il tedesco Franz Marc e Pablo Picasso, uno dei più versatili, in quanto si destreggiò tra diversi stili, e uno dei più rappresentati, in quanto amico personale di Justin Thannhauser, con ben tredici opere delle cinquanta in mostra.
Il mercante d’arte Justin Thannhauser, avendo prematuramente perso entrambi i figli, Heinz (1918-1944) e Michel (1920-1952), espresse nel 1963 la sua intenzione di lasciare la collezione di famiglia alla Fondazione Solomon Guggenheim, creata nel 1937 a New York con l’intento di raccogliere e preservare le opere di arte moderna e contemporanea per “promuovere, incoraggiare, educare all’arte e illuminare il pubblico”.
Il lascito alla Fondazione Guggenheim si arricchì di ulteriori opere nel 1984 e nel 1991, grazie alle donazioni della seconda moglie di Justin, Hilde. Nel luglio 1937, in Germania, con i nazisti al potere, era stata allestita una mostra itinerante ad accesso gratuito, Entartete Kunst (“arte degenerata”), con opere confiscate ai musei: in un arbitrario “processo all’arte” venivano messi al bando tutti gli artisti che si erano distaccati dai canoni della classicità.
La prima tappa della mostra, che voleva denigrare la nuova arte emergente, soprattutto espressionista, fu proprio a Monaco di Baviera. Tra gli artisti esposti al pubblico ludibrio c’erano Van Gogh e Franz Marc, Kandinskij e Chagall. Di origini ebreo-tedesche, nell’aprile 1937 Justin Thannhauser fu costretto a fuggire dalla Germania con la sua famiglia, la prima moglie Kate e i due figli. Prima si spostò a Parigi, portando con sé molte opere messe all’indice: era riuscito infatti a pagare un forte dazio con la vendita di opere classiche della tradizione tedesca, particolarmente apprezzate. In seguito Thannhauser riparò in Svizzera, infine, nei primi anni Quaranta, sbarcò a New York.
Il percorso espositivo, curato da Megan Fontanella, che prevede alcuni pannelli iniziali dedicati alla storia della famiglia Thannhauser, presenta le opere in ordine cronologico e consente una comprensione degli elementi innovativi che hanno fatto la storia dell’arte a cavallo tra Ottocento e Novecento, utile non soltanto alle scolaresche e ai giovani che si affacciano a questa materia di studio ma anche a chi vuole fare un “ripasso” di qualità attraverso molti dei più grandi maestri. L’arte innovativa di questo periodo non voleva restituire all’osservatore una copia dell’oggetto, come si insegnava nelle accademie, ma mirava a scardinare certezze creando nuovi linguaggi. L’io creativo si proiettava nell’oggetto e lo faceva proprio, lo modificava entrandone in dialogo, che si trattasse di una persona, di un paesaggio o di una natura morta. Così, per esempio, nella tela Gatto e aragosta (1965) di Picasso, regalo di nozze ai Thannhauser, la natura si anima e diventa più viva che mai, vibrante grazie anche a una visione “a prospettiva multipla”. Questa mancanza di unità prospettica è funzionale al racconto ma di certo era impensabile per la pittura classica ottocentesca.
La prima sala è impressionista. Vi campeggiano due grandi quadri di donna di Edouard Manet, il pittore cui tradizionalmente si fa risalire l’inizio dell’arte moderna: Donna in abito a righe (1865), restituita ai colori originari grazie a un fresco restauro, e Davanti allo specchio (1876), dove il volto riflesso della donna raffigurata di spalle rimane un mistero perché reso invisibile da libere pennellate di luce. Il quadro di Claude Monet, Palazzo Ducale visto da San Giorgio Maggiore (1908) porta al suo apice la tecnica impressionista della scomposizione della luce in linee sottili di colori diversi ma di uguale luminescenza che creano un’impressione armonica di uniformità. Anche Paul Cézanne è largamente presente in mostra con sei opere, sia di paesaggi sia di nature morte. Interessante, per esempio, è la sua rappresentazione dello spazio in Piatto di pesche (1879-1880), dove la tovaglia bianca acquista volumi propri e la carta da parati, sui toni del grigio, non è più semplice sfondo ma primo piano.
Dei tre quadri di Vincent van Gogh presenti in mostra due sono pervasi rispettivamente di razionalità costruttiva e di incanto: Il viadotto (1887) e Paesaggio innevato (1888); mentre Montagne a Saint-Rémy (1889) manifesta una grande spinta innovativa, suggerita dalle spesse pennellate, dalla forma dei monti che sembrano moti dell’anima in subbuglio, presenza materica viva: questo quadro fu dipinto in uno stato di estrema fragilità del pittore dopo un lungo ricovero in clinica.
Un tributo a Vasilij Kandinskij è il quadro Montagna blu (1908-1909) in cui tra due alberi, resi con larghe pennellate, uno sui toni del giallo e l’altro sui toni del rosso, alcuni cavalieri, personificazioni del bene, si stagliano con i loro cavalli bianchi davanti a una montagna blu, un triangolo, simbolo di trascendenza.
L’opera è fatta di simboli, di forme e di colori accesi e porta l’autore a un passo dall’astrattismo. Tra tante opere non può non colpire, anche per il colore acceso e per le dimensioni, il quadro espressionista Mucca gialla (1911) di Franz Marc, nato a Monaco di Baviera, che ritrae una mucca gialla, appunto, che con grande agilità fa un balzo in un paesaggio colorato: il giallo è associato dall’artista alla sensualità femminile e si ritiene che l’opera fosse dedicata alla donna che sposò proprio nel 1911.
Il dipinto è accostato a quello di Kandinskij, dato che i due artisti operarono insieme nel gruppo dei Blaue Reiter (1911-1914), Cavaliere azzurro.
Dei molti quadri di Pablo Picasso in mostra sorprendono per l’enorme talento giovanile i dipinti impressionisti parigini eseguiti all’età di diciannove e venti anni, come Le Moulin de la Galette (1900) e Il quattordici luglio (1901).
Passando per opere di diversi periodi, compreso il cubista Paesaggio a Céret (1911), Picasso a un certo punto campeggia con un ritratto di Marie-Thérèse Walter, Donna dai capelli gialli (1931), dove poche linee curve suggeriscono l’anima dolce della giovane sorpresa sul divano in un momento di riposo.
Ogni opera rappresenta un mondo: tutto dove si posa lo sguardo c’è un universo da raccontare.
Testo e foto di Stefania Nigretti
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