In cammino con Andrea

In cammino con Andrea

Andrea Devicenzi nasce a a Cremona il 18 Luglio 1973.
A 17 anni, in seguito ad un incidente stradale in sella alla sua moto, perde la gamba sinistra. Pratica sport dall’età di 5 anni: calcio, ciclismo e triathlon. Ultimamente si è dedicato ai Cammini di Pellegrinaggio.
Nel 2010 è stato il primo amputato di gamba della storia a raggiungere in sella ad una bici, la vetta del KardlungLa in India, a quota 5.602 metri. Un’avventura estrema che lo ha avvicinato alle prove di endurance nel ciclismo.
Nel 2011 partecipa all’Olimpiade delle Randonnèe, la Parigi/Brest/Parigi, manifestazione di 1.230 chilometri. Con un tempo massimo di 80 ore a disposizione, batte il record tagliando il traguardo in 72 ore 2 e 42 minuti.
Nel 2013, da due anni nella Nazionale di Paratriathlon, vince in Turchia la Medaglia d’Argento ai Campionati Europei di Triathlon, in cui ha affrontato la fase di corsa con le stampelle, grazie ad una tecnica che lui stesso ha ideato e perfezionato.
Nel 2016 ha affrontato per la prima volta un’avventura in completa solitaria in Perù, percorrendo oltre 1.200 chilometri in sella alla sua bici da Lima a Cusco e successivamente con le inseparabili stampelle, i 50 chilometri in 4 giorni nelle Ande per raggiungere il sito archeologico del Machu Picchu.

Stefania Nigretti
lo ha intervistato per Viaggiatori.com

Andrea, com’è nata la tua passione per lo sport?
Sono uno sportivo da quarantuno anni. Già all’età di cinque anni praticavo judo. Crescendo, alternavo calcio e atletica. Mi piaceva anche andare in barca e in canoa.

Così mi dice Andrea Devicenzi, quarantasei anni, mental coach e sportivo. “Poi ebbi un grave incidente in sella alla mia moto all’età di diciassette anni. Perdevo tantissimo sangue dalla gamba sinistra. Il cuore prese a battermi a tutta forza, ma sentivo che era sempre più debole: andai in arresto cardiaco e persi conoscenza per cinquanta secondi. Mi piace pensare che qualcuno da Lassù, in quell’esatto momento, mi abbia rispedito indietro con un ‘calcio in culo’. Il defibrillatore mi ha riportato in vita per lo stupore di tutti. Persi la gamba. L’incidente mi costrinse a dare un indirizzo diverso alla mia vita. Mi sono occupato di cose nuove, che mi hanno permesso, comunque, di vivere una vita piena, come ognuno si merita. 

Come hai iniziato a gareggiare in bicicletta?
Nel 2007, allora lavoravo per un’azienda siderurgica, non praticavo tanto sport e mangiavo troppo. Avevo raggiunto i cento chili e i venticinque chili in più mi pesavano sulle articolazioni. Così per smaltirli decisi di andare in bicicletta ponendomi da subito un obiettivo ambizioso per l’anno successivo: partecipare a una granfondo con la mia bici. Ne feci quattro.
Non avevo mai fatto competizioni. Scoprii che con la fatica, i muscoli in movimento, la sfida prima di tutto con me stesso, mi sentivo bene. Mi impegnai e arrivai a prepararmi alle qualificazioni per le Paralimpiadi di Londra del 2012. Partecipai a diverse gare internazionali di ciclismo con ottimi risultati.
Nel 2010 percorsi la strada carrozzabile più alta del mondo nella regione montuosa di Ladakh, in India, raggiungendo il Khardung La, un passo a quota 5.602 metri.
Fu una grande emozione: ero il primo con disabilità a tagliare quel traguardo. 

Sei stato anche un atleta di Paratriathlon...
Dal 2011 mi dedicai al Paratriathlon: nuoto, bici e corsa. La mia scelta di camminare con le stampelle risaliva a diversi anni prima ed era motivata principalmente dalla libertà di movimento che mi consentivano rispetto alla protesi. Fu così che diedi del filo da torcere agli altri concorrenti correndo con le stampelle. Nel 2012 fui medaglia di bronzo ai campionati europei in Israele e arrivai dodicesimo ai campionati mondiali in Nuova Zelanda. Poi, nel 2013, un forte mal di schiena m’impose di fermarmi. Avevo un’ernia discale. Io sono abituato ad ascoltare il mio corpo. Interruppi l’attività fino a quando il problema rientrò senza il ricorso all’intervento chirurgico. Ricominciai con la bici: nel 2015 ho fatto la 12 Ore di Monza, il Passo Gavia e il percorso da Aci Trezza all’Etna; nel 2016 il percorso in mountain bike da Lima a Cuzco, in Perù, e il mio primo cammino con stampelle per raggiungere il sito archeologico di Machu Picchu.

Quando hai deciso di occuparti di mental coaching a tempo pieno?
Nel 2014. Lasciai il mio vecchio lavoro per dedicarmi all’attività di coaching, che metteva insieme le mie capacità di motivatore, formatore e atleta. Ho dato vita a "Progetto 22", rivolto ai giovani nelle scuole di tutta Italia. Volevo trasmettere la mia esperienza a chi era frenato da un limite mentale: niente è impossibile nella vita, non esiste il fallimento, perfino quando non centri perfettamente un obiettivo. E poi ognuno ha i propri talenti da scoprire e da alimentare.
Nel 2017 sono stato a Capo Nord per quasi un mese: avevo abbinato allo sport il mental coaching con un giovane amputato di gamba come me. Sono rimasto sorpreso dalla rapidità con cui accoglieva la mia esperienza e la faceva sua. Spero di avergli trasmesso l’importanza di dare senso a ogni secondo della sua vita.

Com’è nato il tuo desiderio d’intraprendere un pellegrinaggio?
A un certo punto provai la necessità di rallentare. Pensai che un pellegrinaggio mi avrebbe dato la possibilità di apprezzare la bellezza del silenzio. Nel 2018 progettai con il mio team la Via di Francesco, un Santo di cui condivido i valori. Cominciai ad allenarmi. Simone Pinzolo, appassionato di trekking, e Andrea Baglio, regista e operatore sarebbero stati i miei due compagni di cammino: con Simone avrei fatto il percorso da La Verna ad Assisi mentre con Andrea avrei percorso tutta la Via di Francesco fino a Roma.
Mi ero impegnato a svolgere l’intero pellegrinaggio, di 500 chilometri, procedendo a tappe di 20-25 chilometri, con partenza l’8 settembre. Avevo previsto un giorno di pausa ad Assisi, una città meravigliosa, al centro dei Cammini, nell’albergo di Paolo Delporto ed Erminia Casadei, che amo ricordare per la splendida ospitalità.

C’è stato qualche imprevisto lungo il Cammino?
I Cammini vanno programmati. Lo zaino, per esempio, deve essere leggero, perché deve contenere in primo luogo l’acqua. Infatti abbiamo riscontrato che non sempre è possibile approvvigionarsi lungo i sentieri. E un kit di pronto soccorso va portato, perché le cadute vanno messe in conto e le ferite anche lievi non sono mai da sottovalutare.
Fin dalle prime tappe mi resi conto che le stampelle mi procuravano dolore alle mani. Immaginavo che sarebbe successo, perché le mie mani svolgono un grande lavoro sorreggendo il peso del corpo quando la gamba è sollevata, ma non mi aspettavo che avrei sofferto così. Presto mi vennero delle vesciche, delle piaghe. Avevo progettato stampelle ergonomiche con manopole speciali per evitare questo problema ma, non erano pronte.
Dopo le prime tappe, pur stringendo i denti, mi sorpresi a temere che non avrei raggiunto Roma. Poi mi si formò una callosità sulle mani che attutiva il dolore e contemporaneamente trovai in me stesso la forza di arrivare fino in fondo.

Quali aspetti della natura ti hanno colpito?
Ricordo gli uliveti, i campi, i colori ma anche le salite ripide e l’intrico di certi sentieri. Ricordo il grande silenzio, spezzato dal rumore del calpestio delle foglie. Con i miei compagni di cammino si è consolidato il rapporto di amicizia, di condivisione, ma tra noi c’era anche un grande rispetto del silenzio, degli spazi.
Sapermi ascoltare mi permette di raggiungere grandi risultati. Durante il pellegrinaggio ognuno deve ascoltare il proprio corpo, la propria fatica: il contatto tra il corpo e la mente ci aiuta a superare i nostri limiti e a capire come agire.

Andrea, hai qualche aneddoto da raccontare?
Ogni giorno percorrevo dai 20 ai 25 chilometri con anche 1.000 metri di dislivello, tuttavia gli ospitalieri quando mi vedevano con due stampelle e una gamba pensavano che avrei avuto difficoltà a salire le scale. Mi veniva da ridere per la loro incredulità.

Avete incontrato il lupo di San Francesco?

Non abbiamo incontrato il lupo, che popola quelle zone Appenniniche, perché è prudente: il suo istinto lo porta a stare lontano dall’uomo. Ma abbiamo incontrato pellegrini, ognuno con la sua storia. Il rapporto umano s’instaura con grande facilità lungo il Cammino.

L’anno scorso sei stato sulla via Francigena.
Ho percorso la Via Francigena del Nord, cui ho dedicato il tema della ‘condivisione’. Ho potuto mettere alla prova le mie stampelle, che ho chiamato katana, che hanno fatto la differenza. Mi sono spinto perfino a procedere da solo in notturna, con l’ausilio di una torcia, per un tratto di 18 chilometri fino a San Gimignano, nel Senese. Durante il pellegrinaggio ho incontrato tantissime persone meravigliose: all’arrivo a Roma eravamo in ottanta.

 

Quando ti è venuta l’idea di creare le "tue stampelle"?
Ci pensavo da sempre: poi in alta quota, rientrando in aereo dalla Nuova Zelanda, non mi sono limitato a sognare. Ho scritto su un foglio cosa volevo esattamente dalle mie stampelle. Volevo che mi dessero sicurezza e che fossero belle e feci lo schizzo di una forma ergonomica. Pensai a tanti dettagli: a speciali gommini in punta che garantissero la massima aderenza, all’uso di materiali ultraresistenti come il carbonio. Volevo un attrezzo elegante come certe bici sportive, personalizzabile nei colori e, soprattutto, che avessero manopole capaci di dare tregua alle mie mani. 

Quali sono i tuoi progetti di cammino per quest’anno?
Da metà settembre fino a ottobre farò la via Francigena del Sud, da Roma a Santa Maria di Leuca, nel Salento.
l tema di questo pellegrinaggio saranno le ‘storie’ di chi incontrerò. Perché ogni persona ha la sua preziosa storia da raccontare.


Stefania Nigretti
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Photo courtesey
Archivio Andrea Devicenzi