Nel Veneto meridionale, tra il basso corso dei fiumi Adige e Po, si estende la provincia di Rovigo, caratterizzata da suggestioni artistiche e culturali, ma anche da incantevoli paesaggi rurali: la natura si protende placida tra i corsi d’acqua fino a raggiungere l’Adriatico, con albe e tramonti mozzafiato. La vasta area del Delta del Po, tra Veneto ed Emilia-Romagna, in continua metamorfosi per l’incessante deposito di sedimenti fluviali, animata da una ricca avifauna, è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. A Rovigo, nei centralissimi palazzi Roncale e Roverella, che affacciano su piazza Vittorio Emanuele II, tre eventi si rincorrono per darci l’occasione di visitare la città e i suoi dintorni: La Quercia di Dante, che anticipa di un anno, con diverse iniziative, il settimo centenario della scomparsa del Sommo Poeta; Marc Chagall - Anche la mia Russia mi amerà sul grande pittore russo naturalizzato francese; e Robert Doisneau, il fotografo parigino, appartenente al filone umanista, contemporaneo di Henri Cartier-Bresson.
La Quercia di Dante (dal 28 febbraio al 28 giugno), a palazzo Roncale, prevede diverse iniziative e incontri sulla cantica dell’Inferno. Il titolo della mostra fa riferimento a un simbolo che lega il territorio rodigino alla figura di Dante Alighieri (1265-1321). Si racconta infatti che Dante, esule a Ravenna dalla sua Firenze, avesse compiuto un’ambasceria a Venezia e stesse percorrendo il viaggio di ritorno verso la Romagna, quando si perse presso l’argine del Po di Goro nei terreni acquitrinosi e boscosi vicini alla località di San Basilio, ora frazione di Ariano nel Polesine, dove lo attendevano i frati benedettini che lo avrebbero ospitato. L’insediamento dei frati si trovava vicino alla chiesetta altomedievale, visitabile, di San Basilio, che sorge su dune fossili a testimonianza di quanto a quei tempi la linea di costa fosse arretrata. Non sapendo come districarsi da questa “selva oscura”, pare che pare che Dante si fosse arrampicato su una maestosa quercia ritrovando l’orientamento e la salvezza.
La quercia plurisecolare in questione era un esemplare possente di Quercus robur, la farnia, una pianta longeva. Fino a pochi anni fa dell’intricato bosco medievale sopravviveva ancora, solitaria, una farnia, che la gente del posto chiamava amorevolmente la Rovra, alta ventisei metri. Per “abbracciarla” occorreva disporre dieci bambini intorno al suo tronco. Purtroppo, nel 1976, a causa di un fulmine, riportò danni importanti a una parte della chioma che determinarono un forte sbilanciamento della pianta stessa; nel 2013, alla Rovra fu fatale la progressiva marcescenza delle radici, dovuta forse ad alterazioni del terreno, reso argilloso, quindi impermeabile, per il contenimento dell’argine vicino. Per fortuna, dalla pianta madre sono nati alcuni polloni che daranno vita a nuovi alberi per tramandare alle future generazioni il ricordo della quercia di Dante.
Tra le iniziative a palazzo Roncale, la lettura integrale dell’Inferno nel mese di maggio e la mostra Visioni dell’Inferno, che propone le illustrazioni della prima cantica della Divina Commedia attraverso il lavoro di tre artisti. Abbiamo così le settantasei incisioni classiche ma sempre fortemente evocative del francese Gustave Doré (1832-1883); ma anche il lavoro, del 1958-1960, dell’americano Robert Rauschenberg (1925-2008), che attualizza l’Inferno dantesco con la tecnica del riporto (transfer), usando immagini di personaggi a lui contemporanei, come Nixon o Kennedy, ritagliate da riviste patinate; e l’opera prima della tedesca Brigitte Brand (1955), allieva di Emilio Vedova, che sarà un’autentica sorpresa.
Un ciclo di conferenze prevede interventi sul poema dantesco di esperti in diverse discipline: il 5 marzo lo studioso di astrofisica Leopoldo Benacchio illustrerà l’astronomia all’epoca di Dante; il 13 marzo il dantista Marco Santagata si concentrerà sul tema: “la politica, l’esilio e il poema sacro”; il 26 marzo l’incisore Francesco Parisi si occuperà di Dante nella grafica europea, dal neoclassicismo agli albori del modernismo; il 23 aprile l’antropologo Mauro Carrera spiegherà l’Aldilà nell’immaginario collettivo moderno; il 26 maggio, infine, il filosofo Massimo Cacciari parlerà di Dante come “profeta”.
Il secondo evento di Rovigo, in programma a palazzo Roverella, è Marc Chagall - Anche la mia Russia mi amerà (dal 4 aprile al 5 luglio): prende spunto da una frase del pittore che si sentì costretto a partire per Parigi, nel 1923. Le opere della mostra, curata da Claudia Zevi, provenienti da importanti musei russi, francesi, spagnoli, svizzeri, ma anche da collezionisti privati e dagli eredi del grande artista, sono un centinaio, e sono state selezionate nell’ottica del tema della cultura popolare russa, soprattutto favolistica, cui il pittore attinse. Tra i dipinti di Marc Chagall (1887-1985) più complessi, ricchi di simbologia e di grande impatto emotivo, segnaliamo: L’ebreo in rosa, La passeggiata, Il matrimonio, Il guanto nero e Il gallo.
Questo evento può essere abbinato agli Itinerari onirici, visite guidate organizzate nel tardo pomeriggio su tratti di argine dell’Adige o del Po, percorribili a piedi o in bicicletta, per immergersi nella natura e vedere splendidi tramonti riflessi nell’acqua.
Sul Delta del Po, per chi è mattiniero, escursioni in barca permettono di vedere l’alba in una cornice da sogno, con i pescatori all’opera nella pittoresca Sacca degli Scardovari.
Il terzo evento previsto a Rovigo (dal 26 settembre al 31 gennaio 2021), sempre a palazzo Roverella, è un omaggio al fotografo francese Robert Doisneau (1912-1994) a cura di Gabriel Bauret. Con le sue foto in bianco e nero, l’artista si è concentrano su gesti ed espressioni della “vita di strada” della sua Parigi già a partire dagli anni Trenta.
Durante l’occupazione della Francia, Doisneau, che era anche litografo, operò nella Resistenza creando documenti falsi che fornivano una nuova identità a persone in pericolo di vita, molte delle quali di discendenza ebraica, per consentirne la fuga. Dopo le atrocità delle due guerre mondiali, quello che Doisneau cercava di catturare attraverso i suoi scatti, come diceva lui stesso, era: “un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere”.
Molti dei suoi scatti, come i giochi dei bambini o lo slancio romantico degli innamorati, ben rappresentato dal Bacio davanti all’Hotel De Ville (1950), cercano di riportare la vita al centro e fanno parte a pieno titolo della storia della fotografia.
Per chi volesse approfondire le radici storiche del Polesine, a una ventina di chilometri a est di Rovigo, nella città di Adria, la seconda più popolosa della provincia, si consiglia una visita al Museo Archeologico Nazionale, immerso in un parco alberato. Oggi Adria si trova nell’entroterra ma anticamente, posta su un fiume, si affacciava sul mare ed era un porto degli Etruschi orientali, talmente importante da dare il nome prima al golfo antistante (Golfo di Adria) e poi all’intero mare Adriatico. Furono gli Etruschi, seguiti dai Romani, ad avviare l’opera di canalizzazione della zona, caratterizzata da paludi e acquitrini. Tra i reperti, oltre alle preziose ceramiche, vi sono vetri di epoca romana di grande bellezza.
Merita una visita anche il piccolo comune di Fratta Polesine, a ovest di Rovigo, che ha dato i natali a Giacomo Matteotti, per la neoclassica Villa Badoèr progettata da Andrea Palladio (1508-1580), con il timpano in facciata poggiante su colonne ioniche, Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.
Nel complesso di questa villa sono custoditi importanti reperti dell’età del Bronzo rinvenuti nelle zone circostanti.
Stefania Nigretti
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