Gianni Berengo Gardin è un fotoreporter di rilievo internazionale ed è in mostra a Milano presso la Fondazione Forma per la Fotografia in via Meravigli 5 fino al 2 agosto con ventiquattro stampe in grande formato.
La mostra s’intitola Come in uno specchio. Fotografie con testi d’autore.
Nato a Santa Margherita Ligure, in provincia di Genova, il 10 ottobre 1930, Berengo Gardin è cresciuto e ha studiato a Venezia, ma vive a Milano, la sua città d’adozione dal 1965. Il maestro, nel corso della sua lunga vita professionale, ha utilizzato come macchina fotografica soprattutto la Leica e ha adottato il bianco e nero come linguaggio espressivo. La mostra, oltre a presentare una selezione di scatti che hanno fatto la storia della fotografia, riflette il divenire della società italiana dal dopoguerra a oggi: è un omaggio a Gianni Berengo Gardin nell’anno dei suoi novant’anni e ripercorre la sua e la nostra storia. Il titolo riprende il film del 1961 di Ingmar Bergman.
Come in uno specchio, Oscar come miglior film straniero, che a sua volta riprende le parole di Paolo di Tarso “Adesso noi vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto” (Prima lettera ai Corinzi). Berengo Gardin è un fotografo eclettico d’ispirazione umanista come i fotoreporter francesi alla Henri Cartier-Bresson, come il suo “mentore” Willy Ronis, di cui studiava e ammirava le pubblicazioni.
Tra le foto dello sterminato archivio di Gianni Berengo Gardin, che ha cominciato a fotografare poco più che ventenne, nello Spazio Forma sono in mostra alcune delle più evocative.
I baci rubati sulla panchina parigina o sotto i portici di piazza San Marco a Venezia sono romantici e liberatori: in Italia fino ai primi anni Cinquanta baciarsi in pubblico era considerato oltraggio al comune senso del pudore.
Berengo Gardin coglieva baci veri perché amava fotografare situazioni reali, non ricostruite. Il catalogo della mostra, Vera fotografia, edito da Contrasto, fa riferimento alle parole del timbro verde che Berengo Gardin imprime sul retro delle sue stampe fotografiche, a indicare che le sue non sono illustrazioni bensì scatti reali, autentiche fotografie appunto. Niente di corretto, modificato o inventato al computer.
E le sue foto, a saperle guardare, rimangono impresse perché non restano in superficie ma raggiungono l’interiorità di ciascuno: sono racconti condensati, descrizioni di uno spaccato di vita. In alcuni filoni le immagini si richiamano l’un l’altra a descrivere una storia intera, un pensiero articolato, una condizione umana complessa. Sono oltre duecentocinquanta le pubblicazioni a tema del maestro.
Cito per tutte Morire di classe, realizzato insieme con Carla Cerati. Il maestro non ha disdegnato il confronto e le collaborazioni, anche per spezzare il lavoro solitario del fotografo, e ne sono nati lavori di estremo interesse.
Il reportage di Morire di classe ha avuto una grande eco nel denunciare, alla fine degli anni Sessanta, le condizioni atroci di costrizione e annullamento dell’identità individuale negli ospedali psichiatrici prima dell’introduzione della legge Basaglia.
Quelle di Berengo Gardin sono foto di mestieri in cui è inquadrata una vita intera; foto di paesaggi dei quali si scopre l’anima; foto della sua Venezia ritratta con l’ingombro delle navi da crociera; foto di denuncia e di impegno civile, come i reportage sulle comunità Rom.
Foto di contesti in cui al centro vi è sempre l’essere umano.
Ogni foto in mostra riporta accanto il commento di un amico fotografo, scrittore, architetto, regista, artista, critico d’arte, giornalista, sociologo, psichiatra o vicepresidente del Fai, non tanto per arricchire di suggestioni ciò che è già suggestivo di per sé, quanto perché ognuno ha voluto rendere omaggio a questo testimone d’eccellenza.
Così di volta in volta ci accompagnano nella visita le parole di Ferdinando Scianna, Sebastião Salgado, Luca Nizzoli Toetti, Maurizio Maggiani, Roberto Cotroneo, Renzo Piano, Stefano Boeri, Vittorio Gregotti e Marco Bellocchio, Alina Marazzi, Franco Maresco, Carlo Verdone, Mimmo Paladino, Alfredo Pirri, Jannis Kounellis, Alice Pasquini e Lea Vergine, Goffredo Fofi, Mario Calabresi, Michele Smargiassi, Giovanna Calvenzi e Domenico De Masi, Peppe Dell’Acqua, Marco Magnifico.
Testo di Stefania Nigretti
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