Cinquale, giugno
I monti della Versilia... ridenti o foschi? Ecco una cosa che non si può mai capire. Un poco folli, di forma, e inchiostrati sempre con tinte da fine del mondo, con quei rosa, quelle vampate secche del marmo che trapelano come per caso. Ma così dolci, mitici.
Qui c’è la spiaggia del Cinquale. Un mare di memorie, alimentate soprattutto dal mio amico poeta Bertolucci, che viene a villeggiare qui, coi più squisiti dei letterati.
Qui ci fu D’Annunzio. Qui tra il ’20 e il ’30 Huxley scrisse Foglie secche, e Thomas Mann - che faceva fare il bagno nudi ai figlioletti scandalizzando gli italiani - scrisse, indignato, Mario e il Mago. Da queste parti veniva anche Rilke, a pensare chissà quali dei suoi sonetti. E ci venne al confino Malaparte. Vi ha vissuto la sua lunga vita Pea. Vi ha dipinto Carrà. E, ripeto, ci vengono ancora i letterati, specie fiorentini: Longhi, Anna Banti, De Robertis, con quel suo occhio ridente con dentro sempre una lacrima, quella sua testa da uccelletto, reduce dall’aver mangiato qualcuna delle sue zuppette di cui solo si nutre, e con un grande amore dentro per la poesia, un amore unico.
Ora cammino per la spiaggia del Cinquale, fra tutte queste memorie contro quel po’ po’ di sfondo dei monti della Versilia; e sapete che vedo?
Una banda di giovinastri emiliani distesi a pancia in giù a guardare una tedesca, tutti un po’ grassi e spennacchiati, con uno che fa l’epilettico per buffoneria.
Una compagnia di tedeschi poveri: due giovanotti e due ragazze, biondi come pannocchie.
Una famiglia proletaria che ha appena finito di mangiare accanto a una tenda da beduini, ridotta a spazzacucina, con un giovanotto che va a lavare i piatti in mare.
Due biciclette scassate appoggiate una all’altra, come due ubriache.
Una lambretta con sopra un paio di scarpe di camoscio verdolino e rosicchiato e i pedalini.
Pier Paolo Pasolini