Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!
(Lc 3,4-6)
Questa intervista si rivolge a Pietro Scidurlo, classe 1978, fondatore di Free Wheels Onlus, Associazione che si prefigge di rendere i cammini di pellegrinaggio e le greenway accessibili a tutti coloro che hanno esigenze specifiche, compresi i viaggiatori con disabilità.
Pietro, tu vivi a Somma Lombardo, una cittadina in provincia di Varese vicina al corso del Ticino.
Sono nato a Somma Lombardo ed è da tredici anni che ci vivo per conto mio. Non ho dovuto fare chissà quali lavori per rendere confortevole la mia casa. Qui conduco una vita piena: esco con Giulia, la mia compagna, vedo gli amici, guido, lavoro, faccio la spesa. A questa terra devo moltissimo e adesso mi ci trovo bene, anche se negli anni Ottanta e Novanta mi stava stretta: ero insofferente perché nella nostra società non si era ancora diffusa una mentalità aperta e inclusiva.
Nel frattempo tante persone con disabilità, me compreso, si sono impegnate per rendere Somma Lombardo più attrattiva e accessibile. Però, per quanto sia stato fatto tantissimo in questi ultimi anni, va detto che c’è ancora parecchio da fare. Per esempio, con Free Wheels di recente abbiamo tracciato per la Via Francisca del Lucomagno, che parte dalla Svizzera, passa qui nel Varesotto e si dirige verso Pavia, un itinerario aggiuntivo con piccole deviazioni rispetto alla via ufficiale per renderlo accessibile a tutti.
La Lombardia in questi anni si sta attrezzando per diventare luogo di cammini, ma Somma Lombardo, anche se ha un grande potenziale di bellezze culturali e naturali (come il Parco del Ticino e la diga del Panperduto), non è ancora abbastanza lungimirante e rischia di rimanere indietro sui flussi turistici che beneficiano i territori. Eppure con qualche scelta coraggiosa si potrebbero rendere accessibili a tutti percorsi green che attualmente sono praticati solo dalla ristretta cerchia degli escursionisti esperti.
Immagino che il Cammino di Santiago, che hai percorso più volte come pellegrino sia in handbike sia in carrozzina, e che ti ha fatto scrivere con Luciano Callegari la guida Santiago per tutti, abbia rappresentato un momento di svolta per te.
Sì, è stata un’esperienza importante. Prima di risponderti nel merito, però, devo fare un salto indietro nel tempo. A seguito di un trauma che ho subìto nel momento del parto, sono nato con una disabilità che mi ha costretto in carrozzina. Negli anni della mia infanzia e adolescenza la società non era per niente inclusiva, come ti ho accennato. Io detestavo la mia condizione e mi dibattevo per trovare il mio posto nel mondo. L’ironia della sorte ha voluto che alla fine del mio peregrinare trovassi proprio nei “cammini” il mio percorso di vita.
Ciò che mi ha dato forza è stato il desiderio che qualcuno dopo di me avrebbe potuto avvantaggiarsi della mia esperienza per portare a termine il proprio percorso di pellegrinaggio, ma anche, e soprattutto, per trovare la propria strada nella vita.
Ritengo che sia un caso che questa mia scoperta sia avvenuta sul Cammino di Santiago piuttosto che sul Cammino di San Benedetto o sulla Jerusalem Way.
A prescindere dal cammino prescelto, ho avuto la netta consapevolezza che un’esperienza come quella che avevo vissuto avrebbe potuto rappresentare un volano per molte persone che si trovavano in una condizione di difficoltà fisica o psicologica.
Riuscire a percorrere un cammino, che è già una sfida per chi ha piene capacità, dà una carica incredibile e può cambiarti, se non la vita, almeno la prospettiva attraverso cui la guardi. Ma è necessario andare incontro a chi ha esigenze specifiche.
Il Cammino di Santiago poteva essere percorso da tutti?
Quando ci sono stato per la prima volta, nel 2012, non era un cammino accessibile. Sono partito per la mia esperienza in handbike alla ventura, senza sapere dove sarei andato a dormire, dove avrei mangiato, se avrei trovato un bagno adatto a me e se avrei avuto la possibilità di farmi una doccia. Non avevo informazioni sull’accessibilità. È da questa esperienza di incertezza che mi è nato il desiderio di lasciare una traccia a chi veniva dopo di me.
Voglio precisare che nell’avere fatto questo tipo di esperienza, diciamo “borderline”, non mi sono sentito un eroe ma più semplicemente una persona che poteva essere di aiuto agli altri, perché, quando ho avuto bisogno io, quell’aiuto non lo avevo ricevuto.
Rendendo i percorsi meno difficili a tante persone o fornendo indicazioni su dove trovare i servizi necessari, sento di fare il mio dovere. La mia soddisfazione sta nel vedere altri come me fare quei percorsi. Per quanto mi riguarda, la vera impresa non è stata, e non è, compiere un cammino ma aprirlo al prossimo.
Prima di compiere il Cammino di Santiago in handbike, ti eri allenato?
Provenivo dall’ambiente agonistico: ero un atleta di un’associazione sportiva dilettantistica che ci preparava al Giro d’Italia di Handbike, la più importante gara a tappe di questo sport nel nostro Paese. Quindi ero allenato a stare per tante ore in sella, e questo mi è stato sicuramente d’aiuto. Il Cammino è un’esperienza difficile, che richiede sforzi prolungati, portando anche il peso di uno zaino. Ci si sveglia alle sei di mattina, si compiono dai trenta ai sessanta chilometri al giorno in bici anche per un mese.
Nel 2013 sono ripartito senza allenamento per capire se questa esperienza poteva essere allargata ai “non atleti”. Sono arrivato alla conclusione che avere un minimo di mobilità serve per fare il percorso, per evitare il più possibile crampi e tendiniti, ma che non è affatto indispensabile fare allenamenti estenuanti per portare a termine un cammino. Basta mettere in conto la fatica e ricordarsi che essere pellegrino significa non essere uno che pretende, come avviene quando si è turisti, ma uno che ringrazia per quello che trova. Se mi capita di fare una doccia d’acqua fredda o di dormire su un materassino di cinque centimetri ringrazio comunque. Se qualcuno mi offre un piatto caldo sotto un tetto, sono riconoscente.
Quando hai affrontato questo pellegrinaggio lo hai fatto con spirito religioso?
Ho deciso di mettermi alla prova nel Cammino di Santiago sostanzialmente perché non accettavo la mia disabilità. Quando sono partito avevo una mentalità laica. Avevo ricevuto i sacramenti ma non praticavo la religione. La solitudine del cammino è un elemento positivo perché facilita l’introspezione. Durante il cammino mi sono reso conto che chi non sa ridere della propria disabilità non ha una disabilità ma ha un handicap. Ho cambiato prospettiva. Ho deciso che mi sarei messo in gioco in maniera diversa, che avrei preso la vita con un po’ di filosofia, anche nelle sue asprezze.
Man mano che accettavo quello che mi era successo, si faceva largo dentro di me un senso di pace. Ho riscoperto la mia vena religiosa. Nella mia visione delle cose, il pellegrinaggio ha una componente “ascetica”, di rinuncia.
La mortificazione del corpo consente l’elevazione dello spirito. Dio non vuole la nostra sofferenza, ma io ho sperimentato che offrendogli il mio corpo, la mia fatica, alla ricerca di una redenzione, in cambio ho ricevuto una grande pace interiore e una strada da seguire.
Dopo il Cammino di Santiago infatti hai pensato di fondare una Onlus.
L’esperienza che avevo fatto a Santiago mi ha portato a pensare che era giusto aprire i cammini a tutti, indipendentemente dalla condizione fisica. Per attuare questo mio desiderio, ho riunito amici e camminatori e ho cercato di trasmettere loro quello che avevo vissuto. Avevo bisogno di capire come procedere: infatti un conto è decidere una cosa per sé, per esempio di andare a camminare, e per questo mi bastava la mia volontà di uscire dalla porta di casa, un conto è aprire un cammino a tutti, e per questo erano necessarie una pluralità di soggetti e una forte progettualità. In quella riunione è emerso che la chiave poteva essere la costituzione di un’associazione.
Free Wheels è nata così. Sono stati lunghi i tempi di maturazione della nostra Associazione, che ora conta venticinque persone, perché si è basata molto sul volontariato potendo contare su poche risorse economiche. Però adesso posso dire che è valsa la pena costituirla: abbiamo partecipato a progetti importanti nazionali e internazionali e siamo diventati opinion leader nel nostro settore. Mentre le persone nel pieno delle loro capacità si concentrano sul “dove”, cioè sono interessate al percorso e poi quello che capita capita, chi ha esigenze specifiche è costretto a concentrarsi sul “come” portare avanti il percorso.
Free Wheels, che significa “ruote libere”, non vuole rendere i cammini accessibili solo alle persone con disabilità ma a tutte le persone con specificità. Per esempio, per chi ha una mobilità ridotta è fondamentale capire quali sono i punti accessibili; per il celiaco o per chi ha allergie alimentari è fondamentale sapere dove reperire gli alimenti adatti; per chi ha bambini è fondamentale sapere dove appoggiarsi per dormire; per i senior con una ridotta capacità di movimento è fondamentale sapere se ci sono panchine lungo il tragitto.
Per queste diverse specificità abbiamo messo a punto un protocollo di lavoro che si applica universalmente a qualsiasi itinerario.
Quando rendiamo accessibile un cammino a chi ha esigenze specifiche lo apriamo a una grossa fetta di popolazione. In Italia, ci sono almeno dieci milioni di persone che hanno esigenze specifiche, tra cui, per esempio, una disabilità.
Pietro, potresti dire in cosa consiste in concreto il lavoro di Free Wheels su un itinerario?
Il nostro intervento prevede uno studio del territorio, una valutazione dei percorsi alternativi accessibili che portino alle stesse tappe dell’itinerario standard, la verifica di questi percorsi, la mappatura delle ospitalità e dei servizi al camminatore. Se chiedi all’ufficio del turismo di una località quali sono i ristoranti accessibili per le persone a mobilità ridotta, di solito non sono in grado di darti una risposta perché non hanno una mappatura del posto. Free Wheels mappa i luoghi accessibili: i ristoranti, i bar, le fontane, le panchine. Perché quando parliamo di esigenze specifiche dobbiamo pensare a un’ampia gamma di servizi.
Dopo il Cammino di Santiago, vi siete occupati della Via Francigena.
Avendo percorso la Ciclovia Francigena nel 2016 con alcune persone in mobilità ridotta allo scopo di prenderne visione, posso dirti che per il momento ha forti criticità. Effettuare la mappatura della Via Francigena costituirebbe una grande sfida perché è un tracciato lunghissimo, che attraversa tante regioni, e ci vorrebbero tante risorse, economiche ma soprattutto umane.
In Toscana abbiamo fatto, però, l’analisi delle criticità di accessibilità delle strutture d’accoglienza religiose e municipali. Inoltre io e Giulia, la mia compagna, siamo stati protagonisti del film documentario A ruota libera, in cui ci siamo avventurati da Acquapendente, in provincia di Viterbo, a Roma lungo la via Francigena pedonale, che in effetti presenta forti criticità. Dove c’erano difficoltà insormontabili cercavamo varianti di percorso. Per la realizzazione di questo progetto, ripreso da registi professionisti, oltre all’aiuto del territorio attraversato e di tanti amici che ci hanno raggiunto per la mappatura delle criticità sul percorso della Tuscia, è stato fondamentale il contributo del CAI di Viterbo.
Cosa mi dici del Cammino di San Benedetto?
Free Wheels era stata selezionata come partner per un progetto europeo sull’accessibilità di questo cammino. Ci è stata richiesta la tracciatura e la mappatura di un percorso asfaltato, che si snoda nella natura tra piccole località di grande bellezza. Abbiamo sfruttato strade con dolci pendenze, poco trafficate, che possono essere tranquillamente percorse con ausili a trazione elettrica. In commercio, oltre alle biciclette a pedalata assistita, ci sono le handbike elettriche. Tra i vari ausili tecnologici poi esistono particolari ruotini elettrici da applicare anteriormente alle carrozzine, che danno grande aderenza e stabilità.
Noi, ne abbiamo scelto uno austriaco per tutta una serie di caratteristiche ottimali per vivere un camino. Il Cammino di San Benedetto, ci tengo a sottolinearlo perché non viene mai detto abbastanza e vorrei che i mezzi di comunicazione lo divulgassero maggiormente, ha un percorso interamente accessibile, grazie anche all’associazione “Amici del Cammino di San Benedetto”, che è stata di grande aiuto per la sua realizzazione. Devo dire che questo cammino mi è particolarmente caro anche perché vi ho fatto un incontro che mi ha cambiato la vita: ho conosciuto Giulia.
Anni dopo il nostro incontro, Giulia ha ripercorso alcune tappe di questo cammino e uno dei regali più grandi che mi ha fatto è stata l’affermazione che arrivare a piedi a vedere una località, come per esempio Subiaco, è un’esperienza impagabile, che suscita grandi emozioni.
Le idee di sostenibilità, inclusione e accessibilità di Free Wheels trovano corrispondenza con quelle di Papa Francesco, che nel 2015 ha scritto l’enciclica Laudato si’, con quelle dell’ONU, che, sempre nel 2015, ha prodotto l’Agenda 2030, e con quelle dell’Unione europea.
Per quanto riguarda Papa Francesco ho avuto la fortuna d’incontrarlo ed è stato un qualcosa che ancora oggi, a distanza di anni, non so descrivere. Al suo cospetto avrei tanto voluto abbracciarlo, ma non ce l’ho fatta. Per questo un giorno ripercorrerò un cammino verso Roma e spero di avere l’opportunità d’incontrarlo nuovamente, magari in privato, per condividere con lui più di una stretta di mano. L’Agenda 2030 è quel passo culturale che spero un giorno di vedere realizzato. Finalmente, oltre a progettare un futuro migliore, l’Italia, parlando solo della mia Terra, ha iniziato a porre la persona e i suoi bisogni al centro nella propria strategia di sviluppo, anche culturale. Per quanto riguarda l’Unione europea, l’Istituto degli itinerari culturali del Consiglio d’Europa di Strasburgo nel periodo 2015-2017 ha selezionato Free Wheels come referente dell’accessibilità dei cammini in Italia: abbiamo partecipato a tavoli tecnici a Strasburgo, a Vilnius e a Lucca.
Proprio per provare la bontà dei progetti di accessibilità per chi ha esigenze specifiche abbiamo percorso in gruppo in handbike un tratto di Via Francigena dal paese di Abbadia a Isola, in provincia di Siena, fino a Lucca, sede della conferenza. Sono stati quattro giorni irti di difficoltà perché a un certo punto si è messo a piovere non poco, ma siamo riusciti ad arrivare alla conferenza in modo spettacolare, per dimostrare con le vie di fatto il nostro forte interesse sulle tematiche in campo.
Tu hai appena pubblicato Per chi vuole non c’è destino, un’autobiografia scritta con la collaborazione del giornalista Stefano Femminis.
Non si è trattato di un “cammino” facile, perché ha smosso delle pietre che pensavo stabili. Però ha finito per sedimentare alcuni aspetti importanti. Volevamo creare qualcosa che desse sostanza con i fatti della mia vita al titolo del libro, che è stato scelto da Miriam Giovanzana, la direttrice editoriale di Terre di Mezzo. Il destino non lo puoi spezzare, ma lo puoi piegare con la tua forza di volontà. E devo dire che per forgiare la mia personalità, la mia famiglia mi ha dato una grossa mano, intanto stimolandomi all’azione e poi fornendomi tutti gli strumenti, anche a livello di istruzione, per affermarmi nel mondo.
Certo per sfuggire alla loro apprensività di genitori mi sta dando una grossa mano Giulia, con la nostra vita insieme. Condividiamo molti progetti, incluso il prossimo: pensiamo di percorrere il Cammino di Oropa tracciato da Alberto Conte, che nel Biellese, a Roppolo, punto di congiunzione con la Via Francigena, ha un rifugio per viaggiatori: “La casa del movimento lento”. Al momento questo cammino non ha l’accessibilità ma noi andiamo in avanscoperta perché siamo fiduciosi che un giorno la otterrà.
Intervista di Stefania Nigretti
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Photo Courtesy
-Gruppo Free Wheels, foto di A. Conte
- Pietro in carrozzina in cammino in val di Susa, foto di F. Sebastiano
- Pietro con il Papa, foto di Osservatore Romano
- Pietro in handbike, foto di Free Wheels
-Santiago di Compostela, foto di Damien Dufour